Vediamo come devono comportarsi le nostre squadre per prevenire il contagio da Covid 19
Un parere dell’avvocato Nadia Mungari, penalista dello studio Fenice Law & Consulting – Milano
Introduzione
“Amor, ch’a nullo amato amar perdona, mi prese del costui piacer sì forte, che, come vedi, ancor non m’abbandona”.
L’amore che noi italiani proviamo per il calcio è viscerale. Il “Dio pallone” è troppo importante per noi ed è stata una grande sofferenza doverci rinunciare per tre mesi!
Durante il lockdown non si faceva altro che esprimere lamentele per l’astinenza da calcio. Poi, quando si è cominciato ad ipotizzare una ripresa, l’opinione pubblica si è divisa.
C’era chi riteneva del tutto sconsiderata una possibile ripresa, in quanto il calcio è uno sport di contatto e non è possibile praticarlo nel rispetto del distanziamento sociale.
C’era chi, invece, per crisi di astinenza o, semplicemente, riconoscendo come questo sia prima di tutto “un’industria dell’intrattenimento” che, oltre a “consolare” gli italiani, inevitabilmente più “inguaiati” a causa dell’epidemia e certamente psicologicamente “segnati” dalla detenzione forzata, impiega migliaia di persone e non tutte con uno stipendio milionario, valutava positivamente l’opportunità della ripresa.
Alla fine ha prevalso quest’ultimo “partito”.
Certo, le paure restano, soprattutto perché le regioni dove giocano tre delle quattro contendenti ai primi posti della serie A sono le più colpite dal Covid 19. Del resto, sono in molti ad additare proprio San Siro come sede di migliaia di contagi in una magica notte di Champion’s League.
Comunque, la ripresa del campionato c’è stata e ci godremo partite “all’ultimo sangue” anche sotto l’ombrellone (ovviamente adeguatamente distanziato) e, addirittura, per ferragosto dovremmo deliziarci con la fase finale della “Coppa dalle grandi orecchie”.
Stiamo attualmente vedendo, e vedremo per tutta l’estate, l’applicazione di alcune nuove regole di gioco, create “ad hoc” per la situazione, e, soprattutto, come per tutte le altre “industrie”, anche per quella calcistica stanno trovando applicazione specifiche regole anticontagio.
Proprio queste ultime hanno generato non poche polemiche, risultando per qualcuno troppo stringenti e per altri poco attente all’elevato rischio di contagio che uno sport come il calcio presenta.
E’ allora indispensabile “dare un’occhiata” a queste misure di sicurezza ed ai rischi che le nostre squadre corrono qualora non rispettino le regole.
- I provvedimenti per evitare il contagio nel calcio italiano
La pandemia ha bloccato tutto, calcio compreso. Il miglioramento dei dati di contagio ha poi portato, prima di tutto, a valutare l’apertura di quelle attività di impresa o professionali che, in quanto non essenziali, avevano subito la chiusura forzata nel mese di marzo.
L’attenzione si è quindi spostata su quegli ambiti che, per quanto non essenziali e anzi rinunciabili, necessitavano di riprendere le attività, per non dovere affrontare una crisi, paradossalmente, molto pericolosa per la nostra economia nazionale.
E’ vero, per gli italiani il calcio è una passione, un divertimento. Da italiani, al di là della squadra che si tifa, come non si può essere felici, dopo questi mesi di detenzione forzata, di scambiarsi reciproci “sfottò” pensando che tutto stia tornando, quasi, alla normalità?
Da juventina, ammetto che recentemente ho riso di gusto ad un “meme” su Facebook in cui il nostro amato Buffon chiedeva a qualcuno se al posto del cuore avesse “salsiccia e friarielli”. Certo, non è stato bello assistere alla sconfitta bianconera nella finale di coppa Italia contro il Napoli, però, da italiana, è bello pensare di potersi concentrare per un attimo su un “problema” come la sconfitta in una partita di calcio.
Il vero problema però è che non permettere la ripresa dei campionati maggiori avrebbe creato “buchi di bilancio” anche alla nostre squadre più “blasonate” e “danarose”, riducendosi le entrate della “pay TV” e degli “sponsor” e dovendo, però, corrispondere comunque gli stipendi milionari dei propri calciatori.
Peraltro, è noto che se alcune squadre sono riuscite ad accordarsi con i propri calciatori per una riduzione di stipendio, altre non ci sono riuscite, con tutte le conseguenze del caso a livello di indebitamento delle relative società.
Ecco allora gli effetti sull’economia nazionale, in caso di crisi economica del nostro calcio. Del resto: tre delle nostre squadre sono quotate in borsa[1], tutte hanno tanti dipendenti “non milionari”, infine, molte persone lavorano nel calcio, pur non essendo direttamente alle dipendenze delle società sportive[2].
Insomma, riprendere era molto più necessario di quanto non si pensi!
La FIGC ha iniziato a “studiare” la ripresa del nostro calcio già nel mese di aprile, quando, sebbene ancora non si fosse sicuri né della “riapertura dell’Italia” né, tantomeno, della ripresa del “mondo pallone”, con importanti esperti ha elaborato un protocollo anti-contagio funzionale a disciplinare un eventuale inizio degli allenamenti.
Questo documento è stato sottoposto alla valutazione del Comitato Tecnico Scientifico del Governo e, dopo alcune correzioni, ha finalmente “visto la luce”, trovando applicazione nel corso degli allenamenti delle nostre squadre. Prima, però, è arrivato il “via libera” del Governo proprio alla ripresa degli allenamenti.
Se, infatti, per il 4 maggio è stata possibile la ripresa degli allenamenti individuali dei nostri calciatori, il successivo 18 maggio è stato posibile ricominciare con gli allenamenti di squadra, come stabilito dal DPCM 17 maggio 2020.
Così recita dunque l’art. 1 comma 1 lettera e): “sono sospesi gli eventi e le competizioni sportive di ogni ordine e disciplina, in luoghi pubblici o privati. Allo scopo di consentire la graduale ripresa delle attività sportive, nel rispetto di prioritarie esigenze di tutela della salute connesse al rischio di diffusione da COVID-19, le sessioni di allenamento degli atleti, professionisti e non professionisti, degli sport individuali e di squadra, sono consentite, nel rispetto delle norme di distanziamento sociale e senza alcun assembramento, a porte chiuse. I soli atleti, professionisti e non professionisti, riconosciuti di interesse nazionale dal Comitato olimpico nazionale italiano (CONI), dal Comitato Italiano Paralimpico (CIP) e dalle rispettive federazioni, in vista della loro partecipazione a competizioni di livello nazionale ed internazionale, possono spostarsi da una regione all’altra, previa convocazione della federazione di appartenenza. Ai fini di quanto previsto dalla presente lettera, sono emanate, previa validazione del Comitato Tecnico – Scientifico istituito presso il Dipartimento della Protezione Civile, apposite Linee-Guida a cura dell’Ufficio per lo Sport della Presidenza del Consiglio dei Ministri, su proposta del Comitato Olimpico Nazionale Italiano (CONI) e del Comitato Italiano Paralimpico (CIP), sentita la Federazione Medico Sportiva Italiana (FMSI), le Federazioni Sportive Nazionali, le Discipline Sportive Associate e gli Enti di Promozione Sportiva”.
Il protocollo anti contagio della FIGC, per permettere la ripresa degli allenamenti e smetterla di guardare “con la bava alla bocca” la Bundensliga, prevede una serie di accorgimenti sia a livello di monitoraggio medico, per accertare eventuali contagi ed impedire la diffusione del virus tra gli addetti ai lavori, sia una serie di regole da ottemperare per effettuare l’allenamento in sicurezza.
In vista della ripresa delle partite, a cominciare dalla coppa Italia, la FIGC ha poi elaborato un ulteriore protocollo, in cui sono previste specifiche regole per prevenire il contagio proprio nel corso delle competizioni sportive.
Procediamo quindi ad analizzare entrambi i protocolli, concentrandoci sulle disposizioni più significative.
- Il protocollo di sicurezza FIGC per lo svolgimento degli allenamenti di squadra
In molti si saranno chiesti come prevenire un nuovo “caso Dybala”. Tutti sappiamo, infatti, che, dopo la partita di campionato contro l’inter, il calciatore è risultato positivo e, dopo poco, ciò è accaduto anche a Rugani. In molti, poi, hanno riflettuto sul pericolo corso dallo staff dell’inter, in ragione della probabile positività al coronavirus dei calciatori juventini già all’epoca della partita.
In realtà, non sapremo mai se c’è stata trasmissione del virus in quel frangente e “chi lo ha trasmesso a chi”, dal momento che, recentemente, è emerso che, forse, la rosa dell’Inter potrebbe avere avuto un incontro ravvicinato con il virus qualche tempo prima.
Ad ogni modo, questo episodio ha permesso alla FIGC di elaborare delle regole di monitoraggio medico molto stringenti.
Il protocollo prevede che i calciatori di una squadra siano suddivisi per lo screening medico in due gruppi: Covid+ e Covid-.
Nel primo vi sono coloro i quali siano risultati in precedenza positivi al virus e siano stati dichiarati guariti e chi abbia comunque avuto in questo periodo alcuni tipici sintomi della malattia, come una
temperatura corporea maggiore di 37,5 °C, tosse, difficoltà respiratorie, mal di testa, diarrea.
Nella seconda compagine, invece, vengono considerati coloro i quali non hanno contratto il virus, come da precedente esame clinico, nonché chi, pur non essendo mai stato testato, non ha mai presentato i sintomi.
Al di là del gruppo di cui si fa parte, il protocollo della FIGC stabilisce che per tutti i calciatori si debba procedere a: 1) esame clinico effettuato dal Responsabile Sanitario, specialista in Medicina dello Sport; 2) ricerca del RNA virale, attraverso tampone e test sierologico.
Il tampone deve essere ripetuto ogni 4 giorni, mentre il test sierologico ogni 14 giorni. Il tutto sempre a soltanto a spese delle società, a cui ogni calciatore “appartiene”.
Non sarà quindi molto facile che si ripresenti un “caso Dybala”.
Per il gruppo Covid+, inoltre, tenendo conto che, oltre a cercare di permettere la ripresa del calcio senza contribuire ad alimentare la pandemia, l’obiettivo delle istituzioni calcistiche è anche quello di salvaguardare la salute dei calciatori, i quali svolgono un’attività molto onerosa dal punto di vista fisico e devono essere in piena salute, sono previsti ulteriori accertamenti.
Rispetto al gruppo Covid-, quindi, questi calciatori dovranno essere sottoposti a: test da sforzo massimale con valutazione polmonare (test cardio polmonare) e saturazione O2 a riposo, durante e dopo sforzo; ECG Holter 24hr inclusivo di una seduta di allenamento o di sforzo; radiologia polmonare.
Un ruolo molto importante nella “gestione” della squadra durante gli allenamenti settimanali, e da lì fino alla partita, risulta in capo al Responsabile sanitario/ Medico Sociale / Medico di squadra, il quale ha il dovere di monitorare il gruppo, sottoponendolo ad una costante valutazione clinica, con controllo giornaliero della temperatura e degli altri sintomi. Questo sarà “in prima linea”, dovendo dare indicazioni a tutta la squadra sui comportamenti da adottare.
La centralità di questa figura, ormai fondamentale per le squadre di qualunque serie, richiama quella del Medico Competente, ai sensi del D. Lgs. 81/2008, riconosciuta nei protocolli elaborati da Governo e parti sociali per permettere la ripresa della produzione aziendale, soprattutto per quei settori che avevano subito il lockdown pienamente.
Come rilevato da più parti, però, questo fatto ha comportato un accrescimento di responsabilità in capo a tale figura, che può generare sanzioni di non poco momento nel caso in cui “qualcosa vada colpevolmente storto”. Nel prossimo paragrafo si esamineranno le conseguenze per società calcistiche, dirigenti e altri addetti in caso di mancato rispetto delle regole. Dunque si parlerà anche di quanto abbiamo “anticipato”, ma era comunque opportuno già sottolineare questo stato di cose.
Andiamo poi a vedere come, secondo il protocollo della FIGC che sto analizzando, dovrebbe svolgersi una normale seduta di allenamento settimanale, pre e post partita.
I giocatori devono recarsi al lavoro, dunque agli allenamenti, in maniera il più possibile autonoma. Ciò significa che devono cercare di arrivare nei centri sportivi con la propria automobile, senza autisti. La ragione di tale misura è che, chiaramente, sempre al fine di prevenire nuovi contagi tra i calciatori, si vuole evitare che essi abbiamo troppi contatti con persone “estranee” alla propria famiglia convivente o alla propria squadra.
All’ingresso del centro sportivo ogni calciatore troverà ad attenderlo lo staff medico che, attraverso termoscanner e saturimetro, provvederà a verificare la sua temperatura ed il suo livello di ossigeno nel sangue.
La società calcistica dovrà previamente predisporre appositi locali funzionali a permettere l’isolamento di chi presenti sintomi da Covid 19.
Superato questo primo livello di controllo, i calciatori dovranno seguire uno specifico percorso “in entrata” per giungere ai luoghi di allenemento (ve ne sarà un altro, differente, per uscire dal centro sportivo), che si svolgerà prevalentemente all’aperto.
Per procedere a cambiarsi, ciascun giocatore dovrà sostare nello spogliatoio ad una distanza di almeno due metri dai propri compagni di squadra.
Le riunioni tecniche, per inciso, quelle in cui, solitamente, si guardano video dei propri avversari per valutare eventuali interventi tattici prima di una partita, sono molto limitate “in presenza”, essendo prediletto l’utilizzo di strumenti telematici.
Quindi, se svolgete un lavoro d’ufficio che negli ultimi due/tre mesi avete effettuato con il supporto di Zoom e piattaforme affini, sappiate che i vostri idoli del calcio fanno e faranno per un po’ di tempo esattamente la stessa cosa.
E che succede se un calciatore, nonostante le precauzioni sopra riportate, a cui vanno ad aggiungersi quelle già prescritte dai provvedimenti governativi e regionali, risulta contagiato?
Questo deve essere immediatamente isolato e sottoposto alle cure ed al monitoraggio stabiliti per ogni malato dal Ministero della salute.
Inoltre, il centro sportivo dovrà essere al più presto pulito e sanificato.
Ed il resto della squadra?
Il protocollo FIGC stabilisce, anche nella sua versione più recente, che tutto “il gruppo squadra” debba essere sottoposto ad isolamento, nonché a tampone ogni 48 ore.
Certo, una situazione come questa, che, alla luce di quello che abbiamo passato negli ultimi mesi, direi che non è poi così impossibile, potrebbe influire sul campionato, che quindi potrebbe non concludersi così facilmente.
E Allora? Che fare?
Si è parlato di algoritmi, di un metodo “non sportivo” per assegnare i titoli in palio. Successivamente, per fortuna, c’è stato un intervento del Ministero della salute che, a parere di chi scrive, salvo lo scoppio di un’epidemia come quella avvenuta a marzo/aprile, permetterà che i campionati maggiori giungano a conclusione.
In particolare, con la Circolare n. 18584 del 29 maggio 2020, il Ministero della Salute, anche alla luce del netto miglioramento della situazione dei contagi in Italia, ha stabilito che in caso di contrazione del Covid 19 da parte di un calciatore, se a seguito di esecuzione immadiata di tamponi, di cui si devono conoscere i risultati almeno quattro ore prima di una partita, risultasse il mancato contagio del resto della squadra a cui il contagiato appartiene, questa potrà regolermente “scendere in campo” per partecipare alle competizioni sportive.
Quindi, anche qualora ci fosse un nuovo “caso Dybala” direi che il campionato è salvo.
Vediamo ora quali ulteriori accorgimenti sono richiesti nel corso dello svolgimento delle partite.
- Il Protocollo FIGC per lo svolgimento delle partite
Nel corso delle prime partite che si sono disputate in questo post lockdown abbiamo potuto vedere con i nostri occhi alcuni cambiamenti adottati per fare fronte a questa drammatica situazione, che stiamo vivendo.
Ciò che certamente non è sfuggito allo spettatore, comunque felice di gustarsi una bella partita a giugno inoltrato, è che non c’è il pubblico sugli spalti.
Abbiamo poi notato che all’inizio della partita gli arbitri e ognuna delle due squadre non entrano tutti allo stesso momento, magari mano nella mano con un bel bambino, come siamo abituati a vedere, ma in momenti diversi.
Da ultimo, certamente non sarà sfuggita la regola delle 5 sostituzioni. Qualcuno ha addiruittura “gridato al complotto” perché qualche squadra è effettivamente un po’ più attrezzata delle altre, tuttavia, ahimè, gli eventi, almeno per il momento, hanno smentito che si tratti di un vantaggio (vedremo).
Andiamo adesso a “spulciare” qualche ulteriore regola che le squadre, la lega e tutti coloro, i quali, a qualunque titolo, siano coinvolti nell’organizzazione e gestione di una partita, devono osservare.
Prima di tutto, lo stadio viene suddiviso in tre zone: Interno Stadio – zona Tecnico/Sportiva, Tribune – Area Media/Tribuna Stampa, Esterno Stadio – TV Compound/Parcheggi.
Questa parcellizzazione non è fine a se stessa ma serve a limitare l’accesso allo stadio e, più specificamente, ad ognuna di queste tre zone, stabilendo per ciascuna un numero massimo di addetti che vi possono sostare.
Il numero massimo di persone ammesse allo stadio, infatti, è in totale di 300, compresi calciatori, presidenti, giornalisti, steward ecc.
Il gruppo della squadra ospite, comunque, non può superare le 60 unità.
Nell’ambito di ciascuna delle tre zone dello stadio non possono esserci più di 130 persone contemporaneamente.
Abbiamo visto, nella recente finale di coppa Italia il cordiale scambio di “gomito” tra i presidenti Agnelli e De Laurentis. Tuttavia, in una partita di questa importanza o in altre meno “di cartello” scordatevi di vedere i fratelli Elkann o i discendenti della “dinastia” De Laurentis”. Ciò non sarà proprio possibile, sempre che, almeno per gli Elkann, Danilo e Higuain non decidano di guardarsi la partita definitivamente a casa…
L’arrivo delle squadre allo stadio dovrà avvenire con mezzi privati. Risulta sconsigliato l’utilizzo del treno, perché, chiaramente, si vuole preservare il più possibile i calciatori da contatti esterni, per diminuire l’occasione di contagio. Per la stessa ragione, qualora per la distanza si debba optare per l’aereo, vanno preferiti i voli charter.
Quando la squadra ospite giunge presso la sede della partita, questa può disputarsi previa esposizione da parte del Delegato alla gestione dell’evento della squadra ospitante della certificazione attestante l’avvenuta sanificazione.
Al tempo stesso, ciascun medico sociale dovrà mostrare a quello della squadra avversaria la documentazione attestante l’esecuzione di tamponi e test sierologici ai calciatori e gli esiti negativi riscontrati, per permettere ad ogni atleta di potere scendere in campo.
Per qualunque soggetto, che abbia la fortuna di fare parte dei fortunati 300 ammessi all’evento sportivo, sarà ovviamente necessario farsi misurare la tempratura con termoscanner, così da potere essere escluso se riscontrato con 37,5° C, e dovrà indossare la mascherina.
Prima e durante la partita, lo spogliatoio concesso a ciascuna squadra dovrà essere utilizzato in tempi diversi dai titolari e dalle riserve. Anzi, qualora la grandezza dell’impianto lo consenta, si auspica l’assegnazione a ciascuna squadra di due spogliatoi: uno per i titolari ed uno per le riserve.
Oltretutto, diversamente da come siamo stati recentemente abituati, non potremo assistere alla carica di allenatori e capitani nel pre partita, perché non saranno permesse le riprese televisive all’interno degli spogliatoi, così da limitare il numero di persone al loro interno.
Le interviste saranno fortemente limitate nelle inquadrature, non essendo possibile per i giornalisti avvicinarsi troppo agli atleti, ai quali verrà fornito un auricolare, per ascoltare le domande da remoto, sanificato e monouso.
Le panchine presenti allo stadio devono essere più lunghe del normale, essendo necessario distanziare le riserve tra loro.
Nel corso dell’intervallo i tre gruppi (arbitri, squadra di casa e squadra ospite) rientreranno negli spogliatoi in momenti diversi. Così sarà anche alla fine della partita.
Al termine dell’incontro, le doccie presenti in ciascuno spogliatoio non potranno essere utilizzate collettivamente, come in genere avviene, ma solo singolarmente, perché il vapore acqueo da esse creato favorisce la dffusione del Covid 19. Addiruttura, il protocollo FIGC suggerisce l’opportunità di fare la doccia a casa o in hotel nel post partita.
Insomma, non è da escludersi che la festa scudetto (ovviamente distanziata) veda “senatori” grondanti di sudore post partita!
Della serie: “Questo scudetto ce lo siamo proprio sudato!”
- Cosa succede se non si rispettano i protocolli?
Ritengo che la domanda posta a titolo di questo paragrafo se la facciano un po’ tutti, tifosi e non.
Del resto, recentemente si è appreso di indagini, forse, anche nei confronti del Presidente del Consiglio, per la mancata “chiusura” della Lombardia o, comunque, della Val Seriana. Alla luce di ciò, pare scontato che, in caso di epidemia nel nostro calcio, le conseguenze non sarebbero tanto “leggere”.
A questo interrogativo, quindi, ha cercato di rispondere prima di tutto la nostra Federcalcio, per quanto attiene a possibili sanzioni da parte dell’ordinamento sportivo.
Con decisione del 8 giugno scorso è stato stabilito che, in caso di violazioni dei due protocolli sopra riassunti, le società calcistiche potranno essere condannate alle sanzioni previste dall’art. 8 comma 1 lettere b) c) g) h) e i) del Codice di Giustizia sportiva[3], quindi a sanzioni pecuniarie e, in caso di violazioni molto gravi, all’esclusione dal campionato, che vuole dire automatica retrocessione nelle serie minori.
Per verificare che ogni squadra chiamata a concludere le competizioni di questa sfortunata annata stia “rispettando le regole”, ogni settimana la FIGC sta svolgendo apposite ispezioni.
Ora, però, è chiaro che, al di là dell’esito di una competizione sportiva, il problema di questa situazione è che c’è in gioco la vita delle persone, perché di Covid 19, purtroppo, si può morire.
Ecco che allora la violazione delle regole esaminate può portare a ben più gravi sanzioni, per i responsabili e per le società nel cui ambito essi operino.
Andiamo a vedere quali sono queste sanzioni, distinguendo i destinatari.
2.1 Le possibili sanzioni per dirigenti, staff e squadra
Chiaramente, se qualcosa va storto, nell’esecuzione dei protocolli della FIGC rispetto a quanto di competenza di una singola società sportiva, “quello con cui ce la andiamo a prendere per primo” è il presidente o, comunque, il legale rappresentante della società ed i dirigenti muniti di adeguato potere gestorio.
Queste figure, effettivamente, nell’attuale situazione corrono dei rischi notevoli.
In primo luogo, qualora siano qualificati o qualificabili come “datore di lavoro” dei propri calciatori, in caso di contagio di qualcuno di questi ultimi, essi rischiano una imputazione per i reati di lesioni colpose, in caso di successiva guarigione, o di omicidio colposo, qualora l’infezione da Covid 19 sia fatale, in violazione delle norme per prevenire gli infortuni sul lavoro, reati rispettivamente disciplinati dagli artt. 590 comma 3[4] e 589 comma 2[5] del Codice Penale.
Tante polemiche sono state infatti suscitate dal testo dell’art. 42 del D. L. 18/2020 (c.d. Decreto Cura Italia), che ha equiparato il contagio da Covid 19 ad un infortunio sul lavoro. Per quanto, in realtà, non vi sia molto accordo tra gli interpreti sul punto e vedremo più avanti come verrà applicata concretamente questa disciplina, resta il fatto che, attualmente, i dirigenti del nostro calcio corrono questo rischio, con possibili sanzioni detentive fino a sette anni.
Sempre per questi reati potrebbero poi essere chiamati a rispondere tutti coloro i quali, in ragione del proprio ruolo, avrebbero potuto impedire l’evento del contagio.
Potrebbe dunque rischiare le sanzioni penali sopra richiamate lo staff medico e, soprattutto, il Medico Sociale, il cui ruolo centrale ed il forte potere decisionale nella gestione dell’attività preventiva, potrebbero renderlo un facile bersaglio.
Non è da escludere che possa essere valutata una responsabilità penale, come sopra qualificata, anche nei confronti dell’allenatore che, per esempio, non curante del pericolo di contagio e delle regole di comportamento suggerite dalla FIGC, diriga riunioni tecniche “al chiuso” e senza l’utilizzo di strumenti telematici, così favorendo il contagio.
Tra il dire ed il fare c’è di mezzo il mare. Un’imputazione per i reati di lesioni o omicidio colposo in ragione di un’infezione da Covid 19 deve poi risultare fondata nel corso di un processo penale. Questo non è facile. In fondo, non sapremo mai come Dybala abboa contratto il virus, ma non possiamo escludere che ciò sia accaduto in un locale di Torino o che, magari, sia stato contagiato dalla sua compagna, che potrebbe avere preso il virus in palestra…
Quello che voglio dire è che è difficile individuare l’origine del contagio per qualunque persona e, quindi anche per un calciatore che, per quanto “isolato” nei rapporti “esterni” quando si reca agli allenamenti e alle partite, non può essere comunque “detenuto in casa propria” oltre il lockdown e nel suo tempo libero può certamente frequentare chi desidera.
Conseguentemente, il contagio di un calciatore non potrà essere impedito al 100% e questo renderà molto più difficle dimostrare una responsabilità per ciò in capo ai dirigenti della sua squadra, allo staff medico o al suo allenatore. Certo, qualora accadesse un fatto del genere, il mancato rispetto dei protocolli da parte di questi soggetti renderebbe la loro posizione molto scomoda ma, ciò nonostante, potrebbero anche “uscirne” senza sanzioni penali.
Vi sono poi ulteriori reati che potrebbero essere commessi in caso di mancata ottemperanza alle regole di comportamento stabilite nei protocolli sopra analizzati.
L’art. 1 Comma 6 del D. L. 33/2020 così stabilisce: “È fatto divieto di mobilità dalla propria abitazione o dimora alle persone sottoposte alla misura della quarantena per provvedimento dell’autorità sanitaria in quanto risultate positive al virus COVID-19, fino all’accertamento della guarigione o al ricovero in una struttura sanitaria o altra struttura allo scopo destinata”.
In aggiunta, l’art. 2 comma 3 dello stesso Decreto dispone: “Salvo che il fatto costituisca violazione dell’articolo 452 del codice penale o comunque più grave reato, la violazione della misura di cui all’articolo 1, comma 6, è punita ai sensi dell’articolo 260 del regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265”.
Leggendo insieme queste due norme emerge che un calciatore o comunque un membro dello staff di una squadra di calcio, che risulti contagiato dal Covid 19, deve restare in quarantena fino all’accertamento della guarigione.
Qualora ciò non avvenisse, tale soggetto potrebbe essere accusato del reato previsto dall’art. 260 del R.D. 1265/1934: “Chiunque non osserva un ordine legalmente dato per impedire l’invasione o la diffusione di una malattia infettiva dell’uomo è punito con l’arresto da 3 mesi a 18 mesi e con l’ammenda da euro 500 ad euro 5.000 […]”.
Giusto una decina di giorni fa, si parlava di un nuovo caso di Covid 19 nella squarda del Venezia. Come previsto dalle regole sopra analizzate, il giocatore è stato messo in quarantena ed è stata monitarata tutta la rosa della squarda veneta.
Tuttavia, poniamo che questo giocatore esca dall’isolamento, perché asintomatico, prima del tempo. Ciò implicherebbe la commissione da parte sua del reato sopra richiamato, con possibili sanzioni per lo stesso fino a 18 mesi di carcere.
Se poi l’incosciente ripresa per questo degli allenamenti fosse (per forza) determinata dalla altrettanta incoscienza dello staff medico e tecnico della squadra, nonché magari della dirigenza, allora, questi ultimi, in caso di “fortunatissimo” mancato contagio altrui, oltre ad “inguaiare” la squadra, con le sanzioni previste dalla FIGC lo scorso 8 giugno, potrebbero incorrere in una responsabilità a titolo di concorso/cooperazione nello stesso reato previsto dall’art. 260 R.D. 1265/1934.
Diverse e più gravose sarebbero le conseguenze per tutti se una sciocchezza come questa generasse la diffusione del contagio tra i membri della squadra e magari tra gli avversari, tenendo conto che i risultati degli esami sui calciatori, prescritti dai protocolli sopra esaminati, possono essere falsificati, soprattutto per “mettere in campo” un calciatore fondamentale.
Come stabilito dall’art. 2 comma 3 D. L. 33/2020 sopra richiamato, in un caso come questo lo stesso giocatore e qualunque altro membro dello staff medico-tecnico o della dirigenza rischierebbe un’imputazione per il reato di epidemia colposa, previsto dall’art. 452 c.p.[6], con possibilità di essere condannati a sanzioni detentive fino a dodici anni di durata.
Per chi magari è un tifoso giurista come me o, semplicemente, è un po’ attento “al pelo”, c’è un’altra questione tecnico-giuridica di non poco momento.
Viene infatti da chiedersi se i dirigenti, lo staff medico e quello tecnico che, in violazione dei protocolli di sicurezza della FIGC, facciano allenare e scendere in campo consapevolmente un giocatore contagiato, qualora ciò comporti la diffusione del virus tra i compagni e gli avversari, possano essere anche chiamati a rispondere, come sopra riportato, per i reati di lesioni colpose o omicidio colposo, a seconda che “ci scappi il morto” o meno.
Per rispondere a questo interrogativo bisogna chiedersi, semplicemente, se questi ultimi due reati possano concorrere con quello di epidemia colposa o meno.
Prevalentemente si ritiene di no.
Ciò significa che, ove il folle atteggiamento di dirigenti/staff tecnico-medico per fare giocare un giocatore “strategico” ma malato, in violazione dei predetti protocolli, porti anche solo ad un contagio in più ma con pericolo di incontrollabili contagi futuri (ai compagni di squadra, agli avversari, alle loro famiglie etc), essi saranno chiamati a rispondere penalmente ai sensi del reato di epidemia colposa, di cui all’art. 452 c.p., e non dei reati di lesioni colpose, ex art. 590 c.p., o omicidio colposo, previsto dall’art. 589 c.p.
Qualora, invece, risulti un contagio in conseguenza di qualche inadempienza ai predetti protocolli di uno o più calciatori o addetti, magari in ragione di uno “scellerato” contatto con qualche soggetto “esterno” alla squadra, dal momento che può parlarsi, da un punto di vista “penalistico”, di epidemia quando solo quando avvenga in breve tempo il contagio di più persone e sussista il concreto pericolo che questo contagio si diffonda oltre, i dirigenti/lo staff medico-tecnico poco attenti potranno essere chiamati a rispondere di lesioni colpose o omicidio colposo.
2.2. Le possibili sanzioni per le società
L’ultima questione trattata nel sotto-paragrafo precedente non è banale, anzi, dà un determinato significato a quanto oggetto di questo sotto-paragrafo.
Abbiamo già esposto in precedenza che, dal punto di vista dell’ordinamento sportivo, le società inadempienti a quanto richiesto nei protocolli rischiano sanzioni che possono portare, nei casi più gravi, all’esclusione dal campionato e, quindi, alla retrocessione.
Per intenderci, è chiaro che se il Venezia facesse scendere in campo, nell’ipotesi fantascientifica di cui sopra, il giocatore recentemente risultato positivo, generando un’epidemia tra i campi della serie B, possiamo affermare che giocherebbe certamente la prossima Lega Pro.
Tuttavia, le società di calcio rischiano anche altro: rischiano di subire esse stesse un processo penale per responsabilità ai sensi del D. Lgs. 231/2001.
Come sopra specificato, infatti, in caso di contagio di un membro della squadra, in ragione di qualche inadempimento rispetto ai protocolli di sicurezza, chi rappresenta e gestisce la società calcistica, magari in concorso con membri dello staff tecnico-medico, potrebbe essere chiamato a rispondere di lesioni colpose o omicidio colposo in violazione delle disposizioni per la prevenzione degli infortuni sui luoghi di lavoro, dal momento che il Decreto “Cura Italia” sembra equiparare il contagio da Covid 19 ad un infortunio sul lavoro.
Tuttavia, quando avviene un infortunio sul lavoro presso un’attività di impresa esercitata in forma societaria, come le squadre di calcio, a quest’ultima può essere attribuita una responsabilità ai sensi dell’art. 25 septies del D. Lgs. 231/2001, con possibili sanzioni pecuniarie fino ad € 1.500.000,00, che nel calcio che conta farebbero ridere, e sanzioni interdittive fino ad un anno, che potrebbero, astrattamente, portare al “blocco” dell’attività sociale, cioè partecipare ai campionati, per un anno.
Come già spiegato in precedenti articoli su questa testata, una cosa del genere significherebbe per una squadra di calcio non solo la retrocessione ma, più drammaticamente, il fatto di dovere ripartire dalla Lega nazionale dilettanti. Un disastro quindi!!![7]
Tuttavia, come abbiamo visto nel precedente sotto-paragrafo, non tutte le violazioni o “applicazioni ballerine” dei protocolli di sicurezza della FIGC potrebbero comportare una responsabilità per i reati di lesioni colpose o omicidio colposo. In alcuni casi, infatti, l’incoscienza di qualche dirigente o allenatore potrebbe essere pagata da questo molto cara, potendo venire accusato di un reato più grave di quelli menzionati, ovvero il reato di epidemia colposa, con conseguenze sanzionatorie molto più ingenti.
Il paradosso, però, quale è?
In questo caso, la “politica criminale” di qualche presidente incosciente che, pur di vincere, si rappresenti la possibilità di scatenare un’epidemia, potrebbe rimanere impunita rispetto a quanto previsto dal D. Lgs. 231/2001!
Del resto, qualora un presidente venga incriminato per epidemia colposa, per la società da questo presieduta non è prevista alcuna responsabilità ai sensi del D. Lgs. 231/2001.
- In conclusione
Finalmente possiamo goderci il calcio che ci è stato negato nei mesi di marzo, aprile e giugno. Addirittura, in questo strano anno, si “sognerà sotto l’ombrellone campionati, coppe varie” per il semplice fatto che verranno giocati proprio mentre saremo impegnati a “prendere la tintarella”
Certo, a fronte di serate molto più interessanti di quelle del “solito calcio d’agosto”, dovremo abituarci al pubblico virtuale e ad allenatori e presidenti che si salutano con il gomito, per non parlare del fatto che, fino a che tutte e due le squadre saranno rientrate per disputare il secondo tempo, qualora la partita inizi alle 21,45, più di qualcuno, tra cui la sottoscritta, potrebbe essersi ormai addormentato!
Ad ogni modo è bello ricominciare a tifare!
Affinché lo sport più amato dagli italiani possa continuare, però, è necessario che le nostre squadre “facciano le brave” ad ogni livello della loro gerarchia, ottemperando in maniera diligente alle regole anticontagio prescritte dalle istituzioni del nostro calcio.
Se non lo faranno ci saranno punizioni molto severe, con il paradosso che una “politica di squadra” funzionale a favorire la diffusione del virus, a fronte di ingenti responsabilità personali, potrebbe comportare per la società calcistica conseguenze meno gravi del caso in cui, in una società tendenzialmente diligente, qualcuno abbia commesso una piccola sciocchezza!
Comunque, buon campionato e…vinca il migliore!
[1] Si tratta di Lazio, Juventus e Roma.
[2] Si pensi soltanto a quante persone svolgono il lavoro di steward negli stadi, essendo collaboratori di società “terze” che forniscono il servizio alle società calcistiche. I lavoratori di questo settore, non potendo il più delle volte vantare verso le società datrici di lavoro un contratto di lavoro subordinato, quindi da “dipendente”, sono letteralmente “in ginocchio”.
[3] Art. 8 Sanzioni a carico delle società
- Le società che si rendono responsabili della violazione dello Statuto, del Codice, delle norme federali e di ogni altra disposizione loro applicabile, sono punibili con una o più delle seguenti sanzioni, commisurate alla natura e alla gravità dei fatti commessi:
- a) ammonizione;
- b) ammenda;
- c) ammenda con diffida;
- d) obbligo di disputare una o più gare con uno o più settori privi di spettatori;
- e) obbligo di disputare una o più gare a porte chiuse;
- f) squalifica del campo per una o più giornate di gara o a tempo determinato fino a due anni;
- g) penalizzazione di uno o più punti in classifica; se la penalizzazione sul punteggio è inefficace in termini di afflittività nella stagione sportiva in corso è fatta scontare, in tutto o in parte, nella stagione sportiva seguente;
- h) retrocessione all’ultimo posto in classifica del campionato di competenza o di qualsiasi altra competizione agonistica obbligatoria; la retrocessione all’ultimo posto comporta comunque il passaggio alla categoria inferiore;
- i) esclusione dal campionato di competenza o da qualsiasi altra competizione agonistica obbligatoria, con assegnazione da parte del Consiglio federale ad uno dei campionati di categoria inferiore;
- l) non assegnazione o revoca dell’assegnazione del titolo di campione d’Italia o di vincente del campionato, del girone di competenza o di competizione ufficiale;
- m) non ammissione o esclusione dalla partecipazione a determinate manifestazioni;
- n) divieto di tesseramento di calciatori fino ad un massimo di due periodi di trasferimento.
- Alle società può inoltre essere inflitta la sanzione sportiva della perdita della gara nei casi previsti dall’art. 10.
[4] Art. 590.
Lesioni personali colpose
Chiunque cagiona ad altri per colpa una lesione personale è punito con la reclusione fino a tre mesi o con la multa fino a euro 309.
Se la lesione è grave la pena è della reclusione da uno a sei mesi o della multa da euro 123 a euro 619, se è gravissima, della reclusione da tre mesi a due anni o della multa da euro 309 a euro 1.239.
Se i fatti di cui al secondo comma sono commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena per le lesioni gravi è della reclusione da tre mesi a un anno o della multa da euro 500 a euro 2.000 e la pena per le lesioni gravissime è della reclusione da uno a tre anni.
Se i fatti di cui al secondo comma sono commessi nell’esercizio abusivo di una professione per la quale e’ richiesta una speciale abilitazione dello Stato o di un’arte sanitaria, la pena per lesioni gravi e’ della reclusione da sei mesi a due anni e la pena per lesioni gravissime e’ della reclusione da un anno e sei mesi a quattro anni.
Nel caso di lesioni di più persone si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse, aumentata fino al triplo; ma la pena della reclusione non può superare gli anni cinque.
Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo nei casi previsti nel primo e secondo capoverso, limitatamente ai fatti commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relative all’igiene del lavoro o che abbiano determinato una malattia professionale.
[5] Art. 589.
Omicidio colposo.
Chiunque cagiona per colpa la morte di una persona è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni.
Se il fatto è commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena è della reclusione da due a sette anni.
Se il fatto è commesso nell’esercizio abusivo di una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato o di un’arte sanitaria, la pena è della reclusione da tre a dieci anni.
[Si applica la pena della reclusione da tre a dieci anni se il fatto è commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale da:
1) soggetto in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell’articolo 186, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni;
2) soggetto sotto l’effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope.]
Nel caso di morte di più persone, ovvero di morte di una o più persone e di lesioni di una o più persone, si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse aumentata fino al triplo, ma la pena non può superare gli anni quindici.
[6] Art. 452.
Delitti colposi contro la salute pubblica.
Chiunque commette, per colpa, alcuno dei fatti preveduti dagli articoli 438 e 439 è punito:
1) con la reclusione da tre a dodici anni, nei casi per i quali le dette disposizioni stabiliscono la pena di morte;
2) con la reclusione da uno a cinque anni, nei casi per i quali esse stabiliscono l’ergastolo;
3) con la reclusione da sei mesi a tre anni, nel caso in cui l’articolo 439 stabilisce la pena della reclusione.
Quando sia commesso per colpa alcuno dei fatti preveduti dagli articoli 440, 441, 442, 443, 444 e 445 si applicano le pene ivi rispettivamente stabilite ridotte da un terzo a un sesto.
[7] L’art 52 comma 10 del N.O.I.F.[7], infatti, così stabilisce: “In caso di non ammissione al campionato di Serie A, Serie B e di Serie C il Presidente Federale, d’intesa con il Presidente della LND, previo parere della Commissione all’uopo istituita, potrà consentire alla città della società non ammessa di partecipare con una propria società ad un Campionato della LND, anche in soprannumero, purché la stessa società:
- a) adempia alle prescrizioni previste dal singolo Comitato per l’iscrizione al Campionato;
- b) non abbia soci e/o amministratori che abbiano ricoperto, negli ultimi 5 anni, il ruolo di socio, di amministratore e/o di dirigente con poteri di rappresentanza nell’ambito federale, in società destinatarie di provvedimenti di esclusione dal campionato di competenza o di revoca dell’affiliazione dalla FIGC”