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Nell’ultimo quinquennio la crisi economica ha portato molte imprese a trovarsi improvvisamente con poca liquidità, se non addirittura senza di essa.
Facile giungere ad un simile scenario quando un importante cliente dell’azienda, trovandosi per primo in crisi di liquidità, inizi a non corrispondere gli importi da lui dovuti nei termini pattuiti o quando la materia prima utilizzata dall’azienda, d’improvviso, raggiunga un prezzo troppo elevato e tale da rendere il prodotto finale troppo oneroso per i terzi acquirenti.
In questo scenario, che ha interessato anche note società che negli anni passati erano state protagoniste del panorama economico italiano, hanno avuto origine un ingente numero di procedimenti penali per reati tributari, che vedevano come indagati/imputati i legali rappresentanti aziendali.
Del resto, in molti si sono trovati davanti ad un bivio: con la liquidità che mi resta pago i fornitori e gli stipendi dei dipendenti, per cercare di continuare l’attività aziendale, o pago le tasse?
In questo contesto, molti imprenditori hanno tirato un sospiro di sollievo nel pensare che, almeno, i reati tributari non risultassero nell’elenco dei reati che possono costituire il presupposto della responsabilità da reato delle società, ai sensi del D. Lgs. 231/2001.
Una responsabilità di questo genere, infatti, può determinare la condanna per una società ad ingenti sanzioni pecuniarie, se non addirittura alla morte della stessa, attraverso l’interdizione temporanea, che ne determini il dissesto, o quella perpetua.
Qualora i reati tributari avessero fatto parte dell’elenco dei reati che, se commessi per interesse o vantaggio della società, determinano l’insorgere della responsabilità ai sensi del D. Lgs. 231/2001, chiaramente, molteplici sarebbero stati anche i procedimenti instaurati a carico degli enti in questi ultimi anni, data l’altissima percentuale soprattutto di omessi versamenti di IVA o di ritenute certificate.
Con l’approvazione da parte del Parlamento e del Consiglio dell’Unione Europea in data 5 luglio 2017 della Direttiva n. 2017/1371, denominata Direttiva PIF, le cose potrebbero cambiare. Secondo i primi autorevoli commenti, infatti, questa riforma di matrice europea, il cui recepimento all’interno degli Stati membri dell’Unione Europea, tra cui l’Italia, deve avvenire entro il 6 luglio 2019, dovrebbe comportare l’ingresso nell’alveo dei “reati 231” anche di alcuni reati tributari sbrigativamente definiti “frodi IVA”.
Ma è davvero così? Anche per l’omesso versamento dell’IVA?
Proviamo a chiarire la reale portata di questa riforma, anche alla luce del corrente iter legislativo per il recepimento della Direttiva in Italia.

1. L’obbligo di criminalizzazione delle “frodi che ledono gli interessi finanziari dell’Unione Europea”
La disciplina europea stabilisce l’obbligo per ciascuno Stato membro di introdurre, ove già non vigenti, appositi reati volti a sanzionare le “frodi che ledono gli interessi finanziari dell’Unione Europea”.
Come spiegato dall’art. 3 della direttiva, questo deve comportare, tra le altre cose, che vengano punite penalmente quelle condotte di: utilizzo o presentazione di dichiarazioni o documenti falsi, inesatti o incompleti, cui consegua la diminuzione illegittima delle risorse del bilancio dell’Unione o dei bilanci gestiti da quest’ultima o per suo conto; mancata comunicazione di un’informazione in violazione di un obbligo specifico; distrazione di un beneficio lecitamente ottenuto.
Tali condotte devono essere criminalizzate se commesse in materia di entrate diverse da quelle provenienti dall’IVA e, per quanto concerne le prime due elencate, anche in materia di entrate derivanti dalle risorse proprie provenienti dall’IVA.
Sempre rispetto alle risorse finanziarie che l’Unione Europea reperisce attraverso la corresponsione dell’IVA, l’art. 3 della Direttiva richiede che vengano punite penalmente anche quelle condotte di “presentazione di dichiarazioni esatte relative all’IVA per dissimulare in maniera fraudolenta il mancato pagamento” (quindi l’omesso versamento dell’IVA previa presentazione dell’apposita e corretta dichiarazione) o la costituzione illecita di diritti a rimborsi dell’IVA(1).
Rispetto a quelle condotte che interessino le risorse che l’Unione Europea reperisce attraverso il pagamento dell’IVA, inoltre, la Direttiva in esame richiede che le quelle da punire presentino comunque “una certa gravità”, ovvero un carattere transfrontaliero, dunque connesse con due o più Stati membri, e che comportino un danno per l’Unione di almeno € 10.000.000,00(2).
Alla luce di una interpretazione letterale della normativa europea, nonché sistematica rispetto alle attuali peculiarità del nostro ordinamento penale, può ritenersi che la Direttiva PIF imponga la criminalizzazione di quelle condotte che, al fine di ottenere un risparmio fiscale o indebiti rimborsi, si concretizzino in: presentazione di dichiarazioni fiscali non veritiere, eventualmente attraverso documenti falsi; mancata informazione alla Pubblica Amministrazione circa dati che si ha l’obbligo di condividere con essa; utilizzo di somme ottenute attraverso erogazioni pubbliche per finalità diverse da quelle per le quali sono state lecitamente ottenute (ad. Esempio fondi europei per favorire la produzione di pasta attraverso l’utilizzo di uno specifico grano del Molise, che poi vengono utilizzati per acquistare materie prime e macchinari per la produzione di pasta con grano proveniente da altri luoghi); omesso versamento dell’IVA, dovuta in base alla corretta dichiarazione precedentemente presentata.
Queste condotte risultano, per lo più, già punite nel nostro ordinamento con le seguenti figure di reato: Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, ex art. 2 D. Lgs. 74/2000; Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, ex art. 3 D. Lgs. 74/2000; Dichiarazione infedele, ex art. 4 D. Lgs. 74/2000; Omessa dichiarazione, ex art. 5 D. Lgs. 74/2000; Omesso versamento di IVA, ex art. 10 ter D. Lgs. 74/2000; Malversazione a danno dello Stato, ex art. 316 bis c.p.; Indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato, ex art. 316 ter c.p.; Truffa ai danni dello Stato, ex art. 640 Comma 2 n. 1 c.p.; Truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, ex art. 640 bis c.p.; Falsità commessa da privato in atto pubblico, ex art. 483 c.p..
A parere di chi scrive, dunque il diritto penale italiano presenta già tutte le fattispecie richieste dal legislatore europeo, così da potere sanzionare chiunque, compresi gli imprenditori, commetta una o più d’una delle condotte sopra riportate.
Tuttavia, la Direttiva PIF dice di più.
Essa stabilisce l’obbligo per ciascuno Stato membro di introdurre la responsabilità delle persone giuridiche per quei reati di cui si è sopra parlato(3).

2. L’estensione della responsabilità da reato degli enti, ex D. Lgs. 231/2001, anche per i reati tributari e quindi per l’omesso versamento dell’IVA
La vera novità della Direttiva PIF è l’obbligo per il nostro legislatore di introdurre nell’elenco dei reati che rappresentano il presupposto della responsabilità da reato per le società, ex D. Lgs. 231/2001, i seguenti reati tributari(4): Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, ex art. 2 D. Lgs. 74/2000; Dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, ex art. 3 D. Lgs. 74/2000; Dichiarazione infedele, ex art. 4 D. Lgs. 74/2000; Omessa dichiarazione, ex art. 5 D. Lgs. 74/2000; Omesso versamento di IVA, ex art. 10 ter D. Lgs. 74/2000.
Se pensiamo allo scenario delineato in premessa(5), soprattutto l’introduzione del reato di omesso versamento di IVA, previsto dall’art. 10 ter D. Lgs. 74/2000, tra i reati presupposto del “sistema 231” potrebbe avere un effetto dirompente(6).
Una società, esattamente come accaduto negli ultimi anni, potrebbe trovarsi nella condizione di non avere improvvisamente sufficiente liquidità per pagare tutti i propri creditori, compreso il “fisco”, e, ove scegliesse di garantire la continuità aziendale e, quindi, pagare i dipendenti ed i fornitori, omettendo la corresponsione dell’IVA, potrebbe rischiare di incorrere nella responsabilità ai sensi del D. Lgs. 231/2001 che, comunque, potrebbe comportare non solo sanzioni di carattere pecuniario, che potrebbero ulteriormente aggravare lo stato di crisi aziendale, ma anche sanzioni interdittive dell’attività di impresa, con il concreto rischio che la società “chiuda i battenti” lo stesso.
Attenzione però.
Questo scenario, apparentemente allarmante, non è poi così scontato perché, come già anticipato in precedenza, la Direttiva PIF impone la criminalizzazione delle condotte che ledono gli interessi finanziari dell’Unione Europea solo qualora sussistano due condizioni: 1) la condotta deve presentare una connessione con due o più Stati membri dell’Unione Europea; 2) la condotta deve portare a cagionare un danno finanziario complessivo per l’Unione Europea di almeno € 10.000.000,00.
Che cosa vuol dire questo?
Dare una risposta a questa domanda potrebbe farci capire quale sia la reale portata della riforma.
La disciplina europea non è molto chiara e, oltretutto, una determinata interpretazione della prima condizione potrebbe influenzare l’applicazione anche della seconda.
Analizzando il disegno di legge per il recepimento della Direttiva PIF, approvato alla Camera dei Deputati in data 13 novembre 2018 e presentato al Senato con n. S944, non si riscontrano al momento suggerimenti in tal senso da parte del legislatore italiano, che ha operato un totale rimando al testo della normativa europea(7).
Può essere che nel corso dell’esame al Senato si proceda ad una riformulazione “chiarificatrice” della disciplina. Tuttavia, in ragione della necessità di concludere l’iter legislativo entro il 6 luglio 2019 e conoscendo le naturali lungaggini del nostro organo legislativo, non è detto.
Si può comunque provare a trovare una soluzione interpretativa attraverso un’esegesi letterale.
Consideriamo la prima condizione: il reato deve avere carattere transfrontaliero, tale per cui la condotta sanzionata deve presentare un collegamento con due o più Stati membri dell’Unione Europea.
A parere di chi scrive, quanto richiesto dal legislatore europeo potrebbe avere quattro significati:
a) l’azienda da sanzionare, ex D. Lgs. 231/2001, deve avere sede in un Paese dell’Unione Europea(8) ma, in ragione dei propri traffici commerciali, omettere l’IVA in un altro Stato membro;
b) l’azienda da sanzionare, ex D. Lgs. 231/2001, deve avere sede in un Paese dell’Unione Europea e omettere l’IVA nel proprio Paese di appartenenza e, in ragione dei propri traffici commerciali, almeno in un altro Stato membro;
c) l’azienda da sanzionare, ex D. Lgs. 231/2001, deve avere una sede principale in uno Stato membro e almeno un’altra, di carattere secondario, presso un altro Paese membro, omettendo il versamento dell’IVA anche solo in uno dei due Stati membri;
d) l’azienda da sanzionare ex D. Lgs. 231/2001 deve avere una sede principale in uno Stato membro e almeno un’altra, di carattere secondario, presso un altro Paese membro, omettendo il versamento dell’IVA contemporaneamente in entrambi gli Stati membri.
Consideriamo la seconda condizione: dalle condotte criminose deve derivare un danno per l’amministrazione finanziaria dell’Unione Europea per un importo complessivo di almeno € 10.000.000,00.
Ove si ritenesse valida la soluzione interpretativa sub a) della prima condizione, si potrebbe sostenere che una società possa essere sanzionata ai sensi del D. Lgs. 231/2001 solo qualora ometta in un solo Stato membro il versamento dell’IVA per un importo di almeno € 10.000.000,00.
Qualora, invece, si desse credito alle soluzioni interpretative sub b), c) e d) della prima condizione, l’omesso versamento dell’IVA per un ammontare di almeno € 10.000.000,00 potrebbe essere sanzionato, ai sensi del D. Lgs. 231/2001, anche nel caso in cui quanto evaso sia la somma dell’IVA da corrispondere in almeno due Paesi membri.

3. In conclusione: chi davvero deve preoccuparsi?
Alla luce di queste ultime considerazioni può affermarsi che, a seconda di come venga interpretata la “clausola di gravità”, l’introduzione dei reati tributari, con particolare riferimento all’omesso versamento dell’IVA, nell’alveo dei reati presupposto della responsabilità degli enti, ai sensi del D. Lgs. 231/2001, potrebbe interessare: o società dal significativo “fatturato” in un determinato Stato membro dell’Unione Europea(9), o società dalla struttura mediamente complessa, con ingenti attività commerciali in più Paesi europei e/o con almeno una sede secondaria in altri Stati dell’Unione(10).
Certo, al di là della preferenza interpretativa, potrebbero rimanere fuori dall’ambito di applicazione di questa disciplina di conio europeo le PMI, o per un motivo o per l’altro, con buona pace di una grossa fetta del panorama imprenditoriale italiano.
Resterebbero a rischio le “multinazionali”(11), che potrebbero trovare una soluzione, oltre che nella predisposizione ed adozione di adeguati modelli di organizzazione e gestione, anche “spacchettando” le società di maggiore fatturato in più soggetti, che esercitino l’attività dei vari rami d’azienda, di modo da mantenere i ricavi a cui si applica l’IVA al di sotto della soglia necessaria per generare un debito IVA di € 10.000.000,00, sia esso la somma di più imposte sul valore aggiunto europee o meno.

  1.  Articolo 3 (Frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione)
    “1.   Gli Stati membri adottano le misure necessarie affinché, se commessa intenzionalmente, la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione costituisca reato.
    2.   Ai fini della presente direttiva si considerano frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione:
    […]
    c) in materia di entrate diverse dalle entrate derivanti dalle risorse proprie provenienti dall’IVA di cui alla lettera d), l’azione od omissione relativa:
    i) all’utilizzo o alla presentazione di dichiarazioni o documenti falsi, inesatti o incompleti, cui consegua la diminuzione illegittima delle risorse del bilancio dell’Unione o dei bilanci gestiti da quest’ultima o per suo conto;
    ii) alla mancata comunicazione di un’informazione in violazione di un obbligo specifico, cui consegua lo stesso effetto; ovvero
    iii) alla distrazione di un beneficio lecitamente ottenuto, cui consegua lo stesso effetto;
    d) in materia di entrate derivanti dalle risorse proprie provenienti dall’IVA, l’azione od omissione commessa in sistemi fraudolenti transfrontalieri in relazione:
    i) all’utilizzo o alla presentazione di dichiarazioni o documenti falsi, inesatti o incompleti relativi all’IVA, cui consegua la diminuzione di risorse del bilancio dell’Unione;
    ii) alla mancata comunicazione di un’informazione relativa all’IVA in violazione di un obbligo specifico, cui consegua lo stesso effetto; ovvero
    iii) alla presentazione di dichiarazioni esatte relative all’IVA per dissimulare in maniera fraudolenta il mancato pagamento o la costituzione illecita di diritti a rimborsi dell’IVA”.
  2. Articolo 2 (Definizioni e ambito di applicazione)
    “1.   Ai fini della presente direttiva, si applicano le seguenti definizioni:
    […]
    2.   In materia di entrate derivanti dalle risorse proprie provenienti dall’IVA, la presente direttiva si applica unicamente ai casi di reati gravi contro il sistema comune dell’IVA. Ai fini della presente direttiva, i reati contro il sistema comune dell’IVA sono considerati gravi qualora le azioni od omissioni di carattere intenzionale secondo la definizione di cui all’articolo 3, paragrafo 2, lettera d), siano connesse al territorio di due o più Stati membri dell’Unione e comportino un danno complessivo pari ad almeno 10 000 000 EUR”.
  3.  Articolo 6 (Responsabilità delle persone giuridiche)
    “1.   Gli Stati membri adottano le misure necessarie affinché le persone giuridiche possano essere ritenute responsabili di uno dei reati di cui agli articoli 3, 4 e 5 commessi a loro vantaggio da qualsiasi soggetto, a titolo individuale o in quanto membro di un organo della persona giuridica, e che detenga una posizione preminente in seno alla persona giuridica basata:
    sul potere di rappresentanza della persona giuridica;
    sul potere di adottare decisioni per conto della persona giuridica; oppure
    sull’autorità di esercitare un controllo in seno alla persona giuridica.
    2.   Gli Stati membri adottano inoltre le misure necessarie affinché le persone giuridiche possano essere ritenute responsabili qualora la mancata sorveglianza o il mancato controllo da parte di un soggetto tra quelli di cui al paragrafo 1 del presente articolo abbiano reso possibile la commissione, da parte di una persona sottoposta all’autorità di tale soggetto, di uno dei reati di cui all’articolo 3, 4 o 5, a vantaggio di tale persona giuridica.
    3.   La responsabilità delle persone giuridiche ai sensi dei paragrafi 1 e 2 del presente articolo non esclude la possibilità di procedimenti penali contro le persone fisiche che abbiano commesso i reati di cui agli articoli 3 e 4 o che siano penalmente responsabili ai sensi dell’articolo 5”.
  4.  Ciò alla luce di quelle che sono le condotte che il legislatore europeo vuole vengano criminalizzate attraverso la Direttiva PIF, di cui si è parlato nel precedente paragrafo.
  5.  Rispetto al notevole incremento di procedimenti penali per reati tributari degli ultimi anni, per quegli imprenditori che, molte volte per garantire la continuità aziendale, avevano preferito omettere il pagamento delle “tasse” e, principalmente, dell’IVA.
  6.  Questo soprattutto qualora la “ripresa economica” non giungesse alla necessaria stabilità o, per particolari mercati, vi fossero oscillazioni del prezzo delle materie prime, come accade ad esempio per il petrolio.
  7. Art. 3 ddl S944 (Princìpi e criteri direttivi per l’attuazione della direttiva (UE) 2017/1371, relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione mediante il diritto penale)
    “1. Nell’esercizio della delega per l’attuazione della direttiva (UE) 2017/1371 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5luglio 2017, il Governo è tenuto a seguire, oltre ai princìpi e criteri direttivi generali di cui all’articolo 1, comma 1, anche i seguenti princìpi e criteri direttivi specifici:
    individuare i reati previsti dalle norme vigenti che possano essere ritenuti reati che ledono gli interessi finanziari dell’Unione europea, in conformità a quanto previsto dagli articoli 1, 2, 3, 4 e 5 della direttiva (UE) 2017/1371;
    […]
    integrare le disposizioni del decreto legislativo 8 giugno 2001, n.231, recante disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, prevedendo espressamente la responsabilità amministrativa da reato delle persone giuridiche anche per i reati che ledono gli interessi finanziari dell’Unione europea e che non sono già compresi nelle disposizioni del medesimo decreto legislativo;
    […]
    h) prevedere, ove necessario, che, in caso di reati che ledono gli interessi finanziari dell’Unione europea, in aggiunta alle sanzioni amministrative previste dagli articoli da 9 a 23 del decreto legislativo 8 giugno 2001, n.231, siano applicabili, per le persone giuridiche, talune delle sanzioni di cui all’articolo 9 della direttiva (UE) 2017/1371 e che tutte le sanzioni siano effettive, proporzionate e dissuasive;
    […]”.
  8. O anche fuori dall’Unione.
  9.  Una società con sede in un altro Stato membro potrebbe essere processata in Italia, ex D. Lgs. 231/2001, solo qualora ottenga ricavi nel nostro Paese per almeno € 45.454.545,50, di cui l’IVA al 22% corrisponda ad €10.000.000,00.
  10. Ovviamente, sul punto si ricorda che la disciplina IVA europea presenta molte varianti per quanto concerne il suo pagamento o chi ne debba essere il debitore, con particolare riferimento alla tipologia di prestazione, all’appartenenza dell’acquirente alla categoria imprenditoriale/professionale o meno etc. Sicuramente, solo  una volta che la normativa italiana di recepimento della Direttiva PIF entrerà in vigore si capirà, applicando tali disposizioni, quale sia la vera portata applicativa della riforma.
  11.  Comprese quelle italiane.

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